L’allarme della FAO in chiave Adriatico
Nel recente documento della FAO sullo “State of marine fisheries” viene fatta una diagnosi davvero impietosa: “La costruzione di una flotta peschereccia sovrabbondante, l’impiego di tecnologie di pesca sempre più potenti, l’incremento dell’inquinamento e la perdita di habitat hanno impoverito gli stock di pesce in tutto il mondo. A dispetto degli accresciuti sforzi di pesca, le catture marine mondiali sono rimaste stagnanti per oltre un decennio, mentre il capitale naturale di pesce – cioè la ricchezza degli oceani – è diminuita “.
Declino preoccupante.
Nulla di nuovo, affermazioni condivise e regolarmente riaffermate dagli organismi mondiali dedicati allo studio e alla sorveglianza degli ecosistemi marini e della produzione. Nonostante la condivisa presa d’atto di una condizione incontestabile, si stenta ad affermare misure capaci di invertire questo preoccupante declino.
Veniamo al caso Adriatico.
Una possibile analisi dei fattori causali non può prescindere da quanto già richiamato nel rapporto FAO.
Nell’ordine: lo sforzo di pesca nell’alto Adriatico è stato indubbiamente eccessivo, non ha tenuto conto dei cicli biologici e dei tempi di ricostituzione degli stock pescati. Anche pratiche sciagurate di regolazione del mercato quali quelle attivate dall’AIMA (Agenzia di Stato per gli Interventi del Mercato Agricolo) negli anni 70 e ’80 del passato secolo hanno lasciato il segno. Da quelle coclee venivano caricate sui camion migliaio di tonnellate di pesce azzurro per poi destinarle alla distruzione o alla produzione di farina di pesce. Motori potenti a bordo. Occorre inoltre considerare la continua corsa verso tecnologie più per formanti e. l’installazione di motori propulsivi sempre più potenti. Di fatto l’aumentata capacita di cattura che ne è conseguita non ha fatto altro che incidere su biomasse ittiche già da tempo in declino.
Sulla perdita di habitat e sull’inquinamento va detto che indubbiamente queste due variabili rappresentano minacce concrete, questo anche alla luce del fatto che i sistemi costieri, quelli deltizi e lagunari detengono alti valori di biodiversità e rappresentano siti di riproduzione e nursery (svezzamento e crescita) di molte specie marine di interesse commerciale. Le pressioni antropiche in queste aree incidono direttamente sulla “culla” del mare, sarebbe importante a tal riguardo assumere approcci meno invasivi.
Per quanto concerne l’inquinamento da sostanze pericolose si è visto che le loro concentrazioni non sono particolarmente alte e in tutti i casi non molto dissimili da quelle rilevate in altri mari del Mediterraneo. Il caso eutrofizzazione. Sul caso Adriatico va fatto un distinguo; l’attenzione va posta sui fenomeni di eutrofizzazione. Se da un lato questo processo può costituire una positività per l’innesco della catena alimentare marina e quindi per la produttività di questo mare, si assiste frequentemente ad eccessi di eutrofia con casi di sotto saturazione di ossigeno nelle acque profonde. Si tratta di effetti secondari ben noti che provocano danni agli organismi che vivono nei fondali quali il pesce di fondo, i molluschi e i crostacei, ivi compresi gli stadi giovanili.
Per finire un breve cenno ai mutamenti climatici; che vi sia un incremento termico nelle acque del Mediterraneo e più in generale negli oceani e nei mari del mondo v’è poco da discutere. Una conferma sul caso Adriatico ci viene anche fornita da presenze di specie ittiche termofile (amanti delle acque calde) che ricorrentemente vengono pescate dalle nostre marinerie e da pescatori amatoriali. La Lampuga, il Pesce Serra, la Leccia, il Barracuda mediterraneo, l’Alacela o aringa mediterranea; queste sono alcune delle specie un tempo rare e che da tempo si sono con successo insediate nell’Adriatico centro-settentrionale, un evidente segno di mutamento in atto. Un mutamento da tempo avviato e tuttora in corso. A parte questi incontrovertibili segnali, va considerato che il riscaldamento delle acque sta incidendo in maniera negativa sulle specie indigene che per le loro caratteristiche fisiologiche ed ecologiche prediligono acque fresche, tra queste lo Sgombro, la Sordina e lo Spratto o saraghina. In questi casi va evidenziato il fatto che l’incremento termico non incide tanto sugli adulti ma bensì sui loro stadi larvali e sui giovanili, quindi sul reclutamento degli stock di queste specie.
Da questa breve analisi appare chiaro come il calo di pescosità nel nostro mare sia da attribuire a più fattori. Sui primi tre, vale a dire lo sforzo di pesca in primis, gli impatti antropici sugli habitat e sulla eutrofizzazione si possono avviare percorsi virtuosi capaci di mitigarne gli effetti. Sull’ultimo, quello dei cambiamenti climatici, l’impegno da mettere in campo assume una connotazione planetaria. Questo pur nella consapevolezza che tutti noi (come singoli cittadini e come comunità) dovremmo fare la nostra parte, incominciamo quindi a dare anche in questo settore il buon esempio attraverso il risparmio energetico, il ricorso a fonti energetiche alternative e alla riduzione delle emissioni dei gas serra. (Tratto da Corriere Romagna del 4 luglio 2011).