Aree marine protette ancora insufficienti per proteggere la biodiversità del Mediterraneo
L’istituzione di una rete di Aree marine protette (Amp) «è efficace nella protezione di alcune specie come i pesci. Malgrado gli sforzi effettuati, alcune zone a forte biodiversità di tartarughe e mammiferi marini, localizzate soprattutto in Africa del nord ed all’estremità est del bacino mediterraneo, devono essere oggetto di un’attenzione più particolare».
A dirlo è uno studio internazionale condotto soprattutto da ricercatori del Laboratoire écologie des systèmes marins côtiers (Cnrs/Ifremer/Ird), dell’Institut des sciences de l’évolution (Cnrs/Ird) e del Laboratoire écosystèmes marins exploités du centre de recherche halieutique (Ird/Ifremer) dell’università francese di Montpellier 2 ed i cui risultati sono stati pubblicati su Current Biology e Global Ecology & Biogeography.I ricercatori sottolineano che «Il mar Mediterraneo contiene dal 4 al 18% delle specie marine, il che è considerevole, sapendo che rappresenta meno dell’1% della superficie mondiale dell’Oceano.
Questo hot-spot della biodiversità è diventato una regione prioritaria in un contesto planetario di presa di coscienza della necessità di proteggere le specie».Ma il Mediterraneo è anche l’area marittima nella quale l’uomo sviluppa da secoli una forte presenza economica e dove esiste una tra le più forti pressioni della pesca. Inoltre sulle coste del Mediterraneo si affollano 175 milioni di abitanti ai quali si aggiungono 350 milioni di turisti all’anno, il che provoca un inquiinamento crescente in un’area dove il global warming è al lavoro da tempo e le temperatuire medie sono destinate ad aumentare fino a +3,1 gradi centigradi entro il 2100.
Secondo gli studi finanziati dal Cnrs francese attraverso il progetto decennale Mediterranean Integrated STudies at Regional And Local Scales (Mistral), dalla Fondation pour la recherche sur la biodiversité (Frb), dall’Agence nationale de la recherche (Anr), dall’Ue attraverso le Bourses Marie Curie e dalla Fondation Total, «Per proteggere le specie e gli habitat, più di un centinaio di Aree marine protette (Amp) sono state create nel Mediterraneo dagli anni ’60. Però non coprono che lo 0,4% della superficie totale (9.910 km2) e sono state realizzate in un contesto politico e socio-economico locale, senza una vera strategia su grande scala».
I ricercatori del Mistral, un consorzio scientifico dedicato alla comprensione del funzionamento ambientale del bacino del Mediterraneo sottoposto ai cambiamenti globali in corso, hanno realizzato una banca dati che riguarda la distribuzione geografica di mammiferi marini, tartarughe, pesci ed alcuni invertebrati, «Al fine di identificare, per la prima volta, la sovrapposizione spaziale dalla biodiversità con le riserve marine e le pressioni antropiche».
I dati dimostrano che «Le differenti componenti della biodiversità mediterranea non sono concentrate negli stessi luoghi e che alcune, come le tartarughe o i mammiferi marini, sono escluse dalla rete delle aree marine protette».Tra le quali evidentemente (e giustamente visto la sua non-gestione) Mistral non include il Santuario internazionale dei mammiferi marini Pelagos, istituito con un accordo tra Italia, Francia e Principato di Monaco e presentato spesso come la più grande area di tutela a mare europea.
Secondo la ricerca «questo approccio su vasta scala dimostra l’urgenza di aumentare la superficie protetta nel Mediterraneo, per conservare le numerose componenti della biodiversità di fronte ad una pressione unane sempre crescente. Questo lavoro suggerisce una gestione della biodiversità che oltrepassi il quadro delle politiche nazionali e le difficoltà storiche. L’impegno è ormai quello di posizionare meglio le nuove aree marine protette, soprattutto nelle zone fino ad ora trascurate che presentano ancora una forte biodiversità, per esempio la costa Nordafricana o l’Adriatico». (tratto da Greenreport del 29 giugno 2011)